PIETRO DE TOMMASO.

PIETRO DE TOMMASO

PIETRO DE TOMMASO:  Il paradigma della libertà

Commento critico di: Raffaella Rita Ferrari

La nostra libertà non sta fuori di noi, ma in noi.’ (C.G. Jung -Libro Rosso, p.311)

Pietro De Tommaso, personalità eclettica ed emblematica, ha assecondato sempre il suo destino, senza forzature, e si è lasciato travolgere dal fiume della libertà, senza veli, sia nella vita che nell’Arte. Pietro rispondeva così, con l’anticonformismo, all’abbraccio della filosofia della Vita, senza indottrinamenti, quella più pura, quella che non si fa né leggere né scrivere, ma che si permea dentro di noi, facendosi forza sull’esperienza, sul vissuto. Scelte, certo, che lo hanno portato nel tempo a cercare una personale spiritualità e a ricercare, in autonomia, senza alcuna influenza, le risposte ai suoi perché. Pietro si rapportava con gli altri in base alla temperatura che percepiva, all’energia che poteva estrapolare dal suo interlocutore; dotto nel pensare, dissacrante talvolta nell’agire, estremamente delicato, sensibile ed empatico con chi gli stava a genio, l’eterno ricercatore del Vero, nella Natura e nell’ente umano. Lui era in questa vita, la viveva in ogni istante, e ogni giorno arricchiva il cassetto della sua esperienza apprendendo da momenti di estrema convivialità, e dai suoi attimi d’infinito, racchiusi in intimi silenzi nel segreto viaggiare nel cuore della Natura, condivisi, con la sua compagna di Vita, Patrizia. Lui era parte di un Tutto, senza pelle, come ora, e come quando l’attimo creativo lo prendeva e lo trasportava nel mondo dell’Iperuranio, il mondo prezioso delle idee di Platone, lì si ricongiungeva a se stesso, nel ‘fare’ e nel dare forma, diventava così un unico elemento con le sue opere, un’unica entità. Abbracciava la sfida, il cercare di andare sempre oltre, con l’accesa curiosità della sperimentazione. Non era artigiano, ma abile e illuminato artista, che portava alla luce, assemblava, creava nuove immagini desunte, forse, da un ‘bestiario’ personale, talvolta da un sogno deforme, e raccolto nell’attimo del risveglio, o ricercato nel ricordo di una tenera infanzia, risultato dell’unione di due terre, la terra d’origine, la Calabria, e la terra che lo ha adottato, il Friuli, congiunte da una simile società contadina. Il risultato dell’esperienza, e del vissuto, si risolvono così in un maturo e curioso gioco ad incastro, dove le idee si incontrano con linguaggi diversi, e lì nasce l’armonia delle parti, la raccolta visiva del suo diario di bordo, nella continua ricerca della bellezza che lui trova nel suo ASSOLUTO. Pietro ha lavorato partendo dall’Anima della materia, sia nella pittura che nella scultura e, nel suo percorso creativo, ha sempre aggiunto ciò che trovava nella sua quotidianità, come se la stessa, grazie a questi ritrovamenti della vita, non dovesse sfuggire, per sottolineare che tutto ha un senso quando passa tra le mani, e ogni giorno vissuto doveva lasciare un’impronta permanente nella sua opera, come traccia del suo passaggio. Il segno, la macchia di colore, il pezzetto di legno, la massa di gesso, le resine, si arricchiscono di oggetti accuratamente ricercati nei mercatini… per lui tutto è interessante e atto a soddisfare il suo progetto. Nulla è dato al caso nella sua opera, ma è frutto e risultato di una meticolosa e attenta indagine, di uno studio scrupoloso sulle proporzioni, e rivolto, concludendo, allo stupore dell’effetto finale. Tessuti, perline, fili, setole, vetrini, prendono forma e danno forma, arricchendo, mai in maniera casuale, le sue creature, perché queste sono le sue opere, le sue creature. Nell’atto della creazione la sua fisicità diventa forza dirompente, le sue mani corrono, forgiano la materia, toccano, accarezzano, accompagnano la nascita dell’idea, e tutto ciò si evince, soprattutto quando il ‘maschio’ entra in gioco, e si trasforma nelle sue sculture in Toro, che con la determinazione dell’Ariete, sfonda questa vita e se ne appropria, liberando l’Anima dalla maschera della forma, perché la sua opera è energia, è dinamismo, è viva. Elegante armonia, nella ricercatezza del dettaglio, sia rivolto in scultura e alle varie serie dedicate agli animali, tra cui i cicli più importanti: tori, galli, asini, come nelle vistose teste, o le deformi donne che, uscite dai suoi quadri, si fanno scultura e si imbibiscono di quella carnalità alterata dall’usura della fatica, di cui rimaniamo particolarmente colpiti dall’esagerata dimensione dei piedi, i colli allungati e gli occhi indagatori che ti trafiggono e che ci vogliono trasferire il loro segreto messaggio. Un libero e accogliente invito a guardare oltre la carnalità rappresentata, perché quella è solo il risultato visibile di una vita, dove il corpo si racconta, e che invita a vedere per comprendere. Immersi tra le sculture di Pietro, siamo sempre catturati dall’insieme delle forme in prima battuta, tutte si fanno guardare e la nostra curiosità, la nostra attenzione, viene continuamente imprigionata dalla totalità, prima che dal dettaglio. Quando però ci soffermiamo, e scaviamo con gli occhi, e giriamo fisicamente intorno alle opere, iniziamo ad apprezzarne realmente la preziosità di ogni dettaglio, che non è frutto di un atto istintivo o improvvisato, ma è il raggiungimento e il completamento della ricerca e dell’esperienza, a cui Pietro conferisce il risultato di un preciso progetto mentale. Torniamo ora di nuovo a lui, generoso, giocoso, vero e profondo, affascinato dalla novità, e dalla casualità, alla quale dedica un altro ciclo emblematico della sua galleria scultorea, e che lo ha accompagnato parallelamente all’esecuzione dei cicli succitati. Ogni arrivo così è un nuovo inizio e da qui si riparte per entrare sempre più nel cuore della poetica artistica di Pietro, per comprenderlo nel suo profondo sentire, perché le opere lo traducono, lo mettono a nudo, e non è poi così difficile comprenderlo. Questo ciclo dedicato alla fusione della stoffa, ‘la stoffa che si fa bronzo’, è frutto e conclusione ultima di lunghe sperimentazioni segrete sulla materia. Questa, a mio parere, è la fase più concettuale che ci ha lasciato, e che corrisponde perfettamente all’accettazione della sua ‘Moira’, il destino che gli è stato conferito alla nascita, e che tutti devono accettare. La vita è casualità, è la continua risposta alla causa ed effetto, come lo stupore che vivono i nostri occhi quando ricercano l’uomo dentro alle stoffe abbandonate, mentre i nostri neuroni specchio, a dispetto, provano a colmare quei vuoti che stridono di storia, di abbandono e testimonianza, ma dell’uomo cosa resta? Solo il ricordo del suo momentaneo passaggio e, il segreto della sua storia, rimane intrappolato in quel tessuto che s’è fatto bronzo. Pietro così risponde alle sue esigenze interiori, lui non ha padroni, e non si inginocchia alle richieste del mercato, ma risponde esclusivamente ad una stretta nicchia di appassionati collezionisti che, nella maggior parte dei casi, sono diventati anche fedeli amici.  In fin dei conti se non avesse dato ascolto a se stesso, la sua arte avrebbe perso la genuinità, e lui non poteva essere di certo incatenato ad un Magister ludi rispondendo a faticosissime ricerche commerciali, perché ogni opera avrebbe perso la sua originalità, com’anche la preziosità della sua unicità per la cura, quasi ossessiva, del dettaglio. La sua vera fede era dedicata alla vita, dopo aver rinunciato al Credo, nonostante da piccolo fosse stato un attivissimo chierichetto, ed è bello ricordarlo anche attraverso i vari ricordi/testimonianza dei suoi amici, per far luce a Lui, e al suo ricchissimo percorso, ai suoi incontri che ci fanno capire con chiarezza, quanto di sé abbia lasciato ovunque lui sia arrivato. Di quella luce, del suo Sole, Pietro, si porta la carezza che ogni giorno scorre sulle superfici delle sculture arrotondate, senza spigoli, e che rappresentano, in fine, la circolarità con cui lui ha preso con forza la vita, conducendola nell’ottimismo del suo scorrere, tra i vari fuochi e fiamme, che hanno contraddistinto un carattere acceso, ma con la verità impressa nei suoi profondi occhi verdi.

ph: Gianni Antoniali


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