LICIA SANNA

LA MORFOPSICOLOGIA DI LICIA SANNA

Raffaella Rita Ferrari ©

L’ecclettismo artistico di Licia Sanna la conduce a sperimentare, oltre che molteplici linguaggi pittorici, scultorei e dell’installazione, anche l’impiego di dissimili tecniche artistiche come: fusione in bronzo a cera persa, Trash Art, olio, acrilico, tecnica mista, collage, cosicché tutto si fa forma e oggetto di curiosità. La possibile ricollocazione di ‘oggetti’ pittorici, com’anche di articoli d’uso quotidiano, che vengono fusi in un linguaggio spontaneo e insolito, mettono in luce un’inconsueta e felice interpretazione dell’arte, dall’artista stessa. Se ci addentriamo con attenzione nell’incessante operare della Sanna, notiamo alcune precise note distintive, che enunciano una cifra stilistica oramai matura e che la rendono sicuramente riconoscibile, anche se alcune citazioni di artisti storicizzati potrebbero portarci fuori campo, nell’indagine complessiva della sua ricca galleria. Ciò che identifica l’opera della Sanna è il dettaglio, l’elemento che contraddistingue una personale peculiarità estetica e che viene riproposta sia in pittura che nella scultura, tralasciando però tutta la sperimentazione dedicata, per l’appunto, alla Trash Art, che invece si fonda principalmente su di un campo di libera esperienza, e soddisfa, quella parte creativa che richiede di essere impreziosita dalla fisicità e dallo stupore ottenuto grazie alla ricollocazione singolare degli elementi del quotidiano. L’autrice nasce come pittrice, qui progetta e studia, con aria ardita e puntigliosa, la morfopsicologia (dal gr. Mòrfo - forma, Psyché – spirito, anima e Logos - discorso, studio, letteralmente ad indicare quindi lo studio dello spirito o dell’anima) dei soggetti ritratti, senza tralasciare però la congiunzione storica legata al mito come al primitivismo e ai grandi maestri della storia dell’arte. Sicuramente, la sua terra, entra nel pieno dell’intimo sentire con la vibrazione del colore, e si coniuga al soggetto onnipresente e destinato quasi per diritto, LA DONNA, ancora troppo poco considerata in una società dove la diversità di genere è presentemente manifesta. L’artista, tramite un linguaggio spontaneo, emancipato e brioso, pone in evidenza questa ‘macchia nera’, ma si rallegra in ‘impossibili’ scambi di ruoli, o nella libertà gestuale e vibrante che si può rilevare nella conversazione intima e segreta tra donne, o il gioco di potere, che è celato dal ‘talare rosso’, impreziosito da rimandi a busti primitivi e che gioca nel ruolo tra sacro e profano. Le fisicità allungate, con pose in prospettiva, talvolta sono improbabili. Tutto fa gioco nella lettura globale dell’abbecedario artistico della Sanna, e i dettagli meritano un’indagine più approfondita e che risiede nell’attenta osservazione della morfopsicologia e fisiognomica delle sue figure. I dati correnti e onnipresenti, nello stile espressivo della Sanna, essi siano sviluppati in pittura come in scultura, vedono degli elementi persistenti come: il rigonfiamento dell’addome delle donne, simbolo della Dea Madre, della fertilità, dell’abbondanza, luogo di energia vitale e sede del cervello emotivo, ricordiamo la Venere di Botticelli o le morbide donne di Rubens, l’addome rappresenta anche la conservazione della specie ed è nido e culla accogliente; i piedi e le mani, affusolati, estesi, alleggeriti da un’articolazione mobile, elastica, fluttuante, anelano ad un continuo dinamismo del fare o dell’andare e slegano la scena dall’immobilismo metafisico; i corpi delle donne, in particolare, con un’inflessione di stima consegnato all’emblema della femminilità, e che colloca l’evidenza ai fianchi, particolarmente floridi, e alle gambe addolcite dalle forme della vera carne, sono gratificati da seni compatti, liberi, appuntiti, fiorenti e ospitali; i colli, sregolati e allungati, reggono la posizione della testa, quasi mai frontale, ma ritratta di scorcio ed estesa, slanciata, in antitesi alle forme euritmiche del corpo. Uno dei dati singolari ora, e che reclama nella sua organicità un cenno zelante, è proprio la fisiognomica dei volti, dove, inevitabilmente, entra in gioco la morfopsicologia e il simbolo. Gli sguardi fissi, persi davanti ad un proprio specchio, sono raffigurati strabici, quasi a voler deformare, di conseguenza, una scomoda realtà, che magari, rivisitata sotto un’altra prospettiva, si fa più leggera, più sostenibile, quegli occhi imbozzolano dentro sé, un intimo mondo segreto, inviolabile e sconcertante. A coronare l’ovale del volto le grandi orecchie, simbolo di trasformazione, longevità e capacità di accogliere e comprendere messaggi eterei e spirituali, arricchiti da una pronunciata apertura del condotto uditivo. Proprio Sigmund Freud appunta un’enunciata corrispondenza e simbolismo procreativo alle orecchie e, quando espresse questo suo pensiero, destabilizzò i sommi del Cristianesimo, perché disse che: ‘Il verbo entrò in Maria Vergine attraverso l’orecchio’ e questo faceva pensare al concepimento, oltre che al messaggio dell’angelo e all’ubbidienza debita al divino. Ma anche i nasi, e la Sanna, soprattutto ai nasi maschili riserva una particolare attenzione, Freud li colloca fra i primi simboli della sessualità, in quanto l’aria in movimento entra ed esce. La sua arte dunque, se esaminata con attenzione, ci riserva un intimo fraseggio di simboli, di parole occultate, personali e realizzati pensieri, raccolti, attraverso la peculiarità del gesto creativo, nella sua quotidianità, che non è fatta solo di Arte, ma di profonda osservazione di ciò che la circonda…


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