LALLA MORASSUTTI

SU PEI MONTI

Rassegna culturale autunno 2011

 27 novembre

Lalla Morassutti è nata nel 1925, già all’età di 13 anni iniziò a frequentare lo studio del maestro Augusto Colombo a Milano, a causa della guerra si dovette trasferire con la famiglia ad Abano Terme (PD).

Finì il Liceo a Porlezza sul lago di Lugano in territorio italiano e, sempre a causa della guerra, si ritrasferì prima a Belluno, poi a Venezia nel 1944 e, sempre nello stesso anno, a Ghieffa sul Lago Maggiore dove, assieme ad un’amica, iniziò un periodo di studio presso il laboratorio dell’artista Leonardo Dudreville, tema di studio nature morte, per poi arrivare allo studio del maestro Contardo Barbieri. Consegue il Diploma al Liceo Artistico di Brera.

Lalla Morassutti si dedicava tanto al paesaggio soprattutto quando era a Belluno a Villa Buzzatti. Continuò gli studi di bottega per diversi anni e con vari maestri, imparando varie tecniche di pittura dall’olio all’acquerello, carboncino e china. Durante questo periodo affina soprattutto la conoscenza delle ombre e chiaro-scuro.

Inizia l’attività di grafica nel ’56, disegni per pubblicità e progettazione di libri per le scuole, disegno tecnico, etc…

Nel ‘58 sposa Bruno Morrassutti.

La montagna, nella sua pittura, è in principio eseguita ad acquerello ed inizia a far comparsa con la fine degli anni ’60 grazie ad una visita ricevuta durante le vacanze a San Martino di Castrozza dalla guida di montagna di zio Dino, Gabriele Franceschini, che le chiese di illustrare un libricino delle montagne più belle che si vedevano nella passeggiata dell’Alta Via sulle dolomiti dedicata a Dino Buzzati, nelle Pale di San Martino, libro edito nel 1979.

Iniziarono così le esposizioni e le Montagne divennero per Lalla Morassutti, da allora, il tema più amato e trattato.

 

Ciò che la montagna lascia dentro Lalla Morassutti non sono solo i semplici ricordi di bei momenti passati insieme alla sua famiglia e agli amici in periodi di vacanza, ma la montagna consegna e radica nel cuore della Morassutti la sua anima, si sveste dei suoi misteri e libera la sua purezza.

Cime imponenti, boschi rigogliosi e cieli tersi o minacciosi, il vento, pungente, tagliente che muove e vivifica la vita insita nella montagna, con la sua funzione d’erosione, scultore del tempo che passa, che va, tutto ciò è magistralmente interpretato dall’artista, nel dettaglio, parafrasando ogni piccolo passaggio del suo vissuto.

Raramente Lalla ha ritratto le sue montagne en plein air, ma s’è per lo più ispirata a fotografie e  al richiamo della sua memoria.

La Galleria di foto-ricordi si apre e si fissa indelebilmente nei suoi quadri, Lalla disegna le varie stagioni, il passare del tempo giornaliero e lo racconta con la sua ricca tavolozza, nascono così le sue montagne, maestose che si danno in dono nella loro pienezza, purezza: Passo San pellegrino, Croda dei toni, Nuvolau, Pelmo, Cristallo, Croda Marcora, Le Tre Cime di Lavaredo, Civetta sono eseguiti con la tecnica mista dell’acquarello, china, acrilico e carboncino.

Le Dolomiti, altrimenti dette Monti Pallidi, sono formate da una roccia, la dolomia, che contiene numerosissimi fossili di conchiglie, coralli e altri microrganismi.

Ecco perché, quando il sole si riflette sulle pareti di questi monti, le pietre assumono una colorazione rosata.

Quest’aspetto non sfugge a nessuno, soprattutto durante il tramonto, quando la montagna offre uno scenario come il dono più bello.

L’artista conosce bene la natura delle dolomiti e la composizione delle sue montagne, difatti quel color rosa non manca mai nella sua tavolozza e ne rimanda il ricordo dei magnifici tramonti da lei ammirati dalla Valle d’Alleghe al Civetta.

Il segno deciso, sicuro rimarca che il tema trattato da Lalla è a lei ben conosciuto e le sfumature chiaro-scurali potenti e dal grande impatto visivo sono atte ad aumentare le naturali discese scoscese delle crode che le accompagnano fino al loro ancoraggio a terra; l’artista, in maniera emblematica, sfoggia e ci offre un fitto frasario nascosto di silenzi e suoni, dove la luce, l’aria cristallina e i profumi propri della montagna, divengono una sorta di lettura intradermica  di ciò che il soggetto rappresentato è, di ciò che è rimasto nella pelle dell’artista, ciò che la sua pelle ha assorbito durante le escursioni a piedi, in bicicletta, arrampicando o semplicemente girovagando con il papà in motocicletta.

Molti artisti, una volta definita la loro cifra espressiva, tendono a diventare ripetitivi, logorroici, fissati e proiettati sempre e solo verso quella strada raggiunta.

Ma questo a Lalla Morassutti non accade, lei non cade nella routine di ciò che rappresenta.

L’artista arricchisce o depura ogni montagna ritratta, alcune sono ricche di particolari minuziosi, quasi a ricordare gli appigli ai quali s’è affidata durante le sue scalate, vedi ad es: Il Pelmo o la Cima Grande di Lavaredo.

Altri elaborati come: Le Tre Cime di Lavaredo o Passo Giau mantengono solo la loro originale forma che si staglia maestosa nel cielo, mentre le singole rocce in luce sono trattate delicatamente con toni grigi-rosati per venire poi interrotte da altre pareti in ombra scure e imponenti.

Forse il ricordo dell’appiglio s’è affievolito in Lalla in questi ultimi anni e l’ approccio verso le sue montagne è cambiato in una visione più intimistica e meno descrittiva rispetto ai quadri eseguiti fino al 2006-2008.

Quel che comunque traspare in ogni quadro della Morassutti è la sua attenta partecipazione fisica all’interno della figura creata, perché lei, nell’atto della creazione, sembra riversarsi dentro la tela e, pennellata dopo pennellata scala virtualmente la montagna.

Una sorta di scenografia artificiale che le consente sempre e comunque di raggiungere le sue vette mantenendo vivo il ricordo della fatica e della successiva soddisfazione.

Solo lei può dire di aver vissuto quelle montagne, di averle intimamente conosciute, amate, respirate.

Le montagne dunque raccontano la Morassutti o è Lalla che racconta le montagne?

Io penso che le due cose si compenetrino.

Ogni madre racconta dei propri figli, ogni figlio racconta la propria madre.


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