David Cej – La pittura come atto di presenza.

David Cej – La pittura come atto di presenza

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Nel silenzio evocativo della materia e nella densità lirica del colore, la pittura di David Cej s’impone come un linguaggio visivo che supera i confini del reale per giungere in una proiezione di un universo parallelo, dove la sostanza del sogno si coagula in forme geometriche essenziali, trasfigurate e pregnanti. L’artista, autodidatta dalla sensibilità acuta e dall’immaginazione vivace, cesella la sua visione del mondo attraverso una costante tensione sperimentale, che si palesa nella sapiente commistione di tecniche, supporti e materiali eterogenei. La sua poetica non si limita a rappresentare, ma tende piuttosto a rivelare: ogni elemento formale diventa un simbolo, ogni dettaglio una porta verso un altrove intimo e visionario. Soli giganteschi, lune sospese, cerchi come orbite misteriose – elementi ricorrenti e iconici – si stagliano nel campo visivo delle sue opere, assumendo la funzione di emblemi totemici, specchi ancestrali di un cosmo interiore che riflette, senza spiegare, i misteri della condizione umana a partire dalla propria. Sono occhi astrali che vigilano il mondo, sentinelle silenziose che osservano lo svolgersi dell’esistenza e la trasfigurano in metafora silenziosa. La loro onnipresenza, non è mera decorazione, ma rimanda ad una valenza quasi sacrale: essi non illuminano, ma rivelano, non guidano, ma accompagnano come luce rivelatrice nella nebbia dell’inconscio. ll paesaggio, quando appare, è rarefatto. Si fa percepire e si liquefa nel tratto di linee timide, talvolta inquiete e non c’è, da parte dell’artista, un intento descrittivo, realistico, bensì una precisa volontà di evocare sensazioni, lasciando libero spazio all’immaginazione. I luoghi dell’uomo affiorano così, come reminiscenze, come echi filtrati dal tempo e dalla memoria, sino a dissolversi nell’astrazione più pura: l’astrazione di un ricordo, di scene viste nella vita, angoli di paesaggio dissolti. Non si tratta di una semplice rappresentazione visiva, ma di una presenza poetica, un’impressione che si manifesta attraverso l’emozione e la percezione soggettiva, più che attraverso la concretezza dell’immagine. La realtà si disgrega in una materia pittorica vibrante, spesso compatta e stratificata, in cui l’impasto si fa corporeo, quasi scultoreo. In tale scelta formale si cela forse un’urgenza: l’affermazione dell’esistenza stessa dell’artista, che imprime se stesso nella tela, non solo con il gesto, ma con la fisicità della materia, come a voler lasciare un’impronta, un segno tangibile della propria presenza nel flusso impalpabile del tempo. L’artista non teme l’eccesso, né l’inconsueto, non segue direttive accademiche, ma affida tutto alla sua esperienza e alla sua curiosa sperimentazione. L’approccio creativo si configura, in questo contesto, come un autentico atto di coraggio, privo di compromessi, in cui la ricerca si impone come fulcro imprescindibile dell’atto generativo. Colla, gesso, sabbia, frammenti di plastica o vetro, materiali di scarto ed elementi eterogenei vengono integrati nelle composizioni non come meri ornamenti, ma come parte integrante di una grammatica visiva che interroga e talvolta mette in crisi la tenuta stessa del supporto. In questa tensione materica si cela una sfida simbolica della condizione esistenziale, dove la precarietà del vivere e la resilienza dell’essere si riflettono nella fisicità delle opere. Ne scaturisce un’opera che, pur nell’apparente astrattezza della sua forma, si rivela densamente narrativa, capace di raccontare mondi interiori in fermento, albe gelatinose e notturni cristallini, restituendo una realtà trasfigurata che si fa palcoscenico simbolico per la rappresentazione di emozioni arcaiche e universali. Il percorso tracciato da Cej si configura come un viaggio sensoriale e meditativo, in cui l’immagine si fa riflessione e il simbolo diventa strumento ermeneutico per accedere a ciò che sfugge allo sguardo: l’invisibile, l’inconscio, il rimosso. In un tempo che tende a rimuovere il valore dell’introspezione, la sua opera riafferma con forza la possibilità per l’arte di essere ancora un luogo di riconoscimento e di verità dove riemerge, inatteso e necessario, il riflesso più autentico di noi stessi.

Raffaella Rita Ferrari