Il canneto non è mai un luogo statico, ma un’oscillazione perenne tra l’immanenza della terra e la fluidità dell’acqua, tra la saldezza delle radici e l’impeto del vento che ne sconvolge la verticalità. È l’immagine primordiale del confine, della soglia tra visibile e invisibile, tra sussurro e silenzio. Nella sua intricata e sfuggente tessitura, esso si configura come una scrittura dell’inconscio, un palinsesto della memoria naturale in cui si inscrivono le orme dell’uomo e il respiro stesso del paesaggio. Claudia Raza, con il suo sguardo sensibile e penetrante, coglie questa ambivalenza e la restituisce sulla superficie pittorica come un’eco di presenze immerse in una dimensione liminale. Il suo canneto non è mai una semplice trasposizione naturalistica, ma una sinfonia di ritmi e tensioni, dove la vibrazione della luce incide il tessuto cromatico come un antico gesto calligrafico. Ogni segno è un dialogo e ogni tratto è un riflesso che si fa simbolo. L’artista ci conduce in un territorio fluido, un luogo in cui la percezione si smarrisce e poi si rinnova continuamente, dove il vuoto diventa l’elemento compositivo e il colore si fa materia vivente. I toni si sovrappongono, a volte con la trasparenza impalpabile dell’acquerello, altre con la densità gestuale della spatola, quasi a evocare la mutevolezza dell’acqua e la resistenza della vegetazione. L’oro del sole, il verde argenteo dei fusti, l’ombra profonda che si insinua tra gli steli e gli interminabili notturni… Tutto concorre a creare un’atmosfera sospesa, un respiro lento che si espande oltre i margini della tela. In alcune opere domina un senso di verticalità in ascesa, in altre, invece, l’orizzonte si apre, e il canneto si piega all’andamento del vento, diventando esso stesso corrente e respiro, strumento della natura. Qui l’artista gioca con la stratificazione del colore, suggerendo una visione quasi atmosferica, in cui l’elemento naturale non è mai puro dato oggettivo, ma memoria in movimento, traccia di un paesaggio interiore. L’imprevedibilità è il codice sotteso nelle sue opere: il segno non si lascia imprigionare e il colore non si cristallizza. Raza sembra dipingere il battito del tempo, la fragilità di un istante che sfugge e che si rigenera continuamente. È in questa tensione tra la concretezza del gesto pittorico e la leggerezza della forma che risiede la forza evocativa dei suoi canneti: paesaggi che si rifiutano di essere solo scenario e diventano esperienza sensoriale, visione e vibrazione. Ma c’è di più. Il canneto, in questa lettura pittorica, diviene anche uno spazio mentale, una soglia dell’Anima dove l’elemento naturale si fonde con l’esperienza intima e contemplativa dell’artista. Esso custodisce il silenzio del pensiero, il fruscio delle domande irrisolte, la verticalità dell’ascesa interiore, diventa il luogo che accoglie, quando la necessità della vita chiama a raggiungere un luogo di solitudine, fuori dal caos esteriore ed interiore… È rifugio e al contempo labirinto, un velo che cela e svela e codice ancestrale che invita alla decifrazione. L’artista lo vive, l’osserva e annusa l’aria satura di vita e di silenzio, si lascia attraversare dai suoni sussurrati del vento tra gli steli, dai riflessi dorati della luce che filtra tra le foglie. Ogni cambiamento stagionale diventa un’eco delle stagioni dell’Anima e ogni mutamento del paesaggio, riverbera nell’intimità del sentire umano. In primavera, il canneto si risveglia come un pensiero che torna a fiorire dopo il torpore, i colori si schiudono e il respiro si allarga. In estate, la luce diventa implacabile, e le ombre si fanno più intense, come le domande profonde che affiorano nei momenti di consapevolezza. L’autunno porta il senso della transitorietà, il giallo che diviene ruggine, la bellezza che si sfalda come un ricordo. In inverno, il canneto si spoglia, e il vuoto tra gli steli diventa uno spazio di meditazione, un’assenza che è anche attesa di una nuova nascita. In questo perenne divenire, ella si sente parte di un tutto, si dissolve nella trama della natura ove si immerge soddisfacendo le emozioni, di silenzi, di visioni. La sua pittura non è mai distaccata, ma è un atto di fusione con la materia stessa del mondo, con la luce, con l’aria, con l’acqua. Nelle opere, la pittura non si limita a rappresentare, ma si fa lunga esperienza. L’osservatore è chiamato a oltrepassare la superficie, a lasciarsi guidare dentro il respiro della Natura, in un viaggio che è insieme ricordo e premonizione, radicamento e dissoluzione. Il canneto diventa così una metafora dell’Essere: trame e orditi di segni e assenze, in quell’oscillazione costante tra permanenza e impermanenza, tra ciò che si cela e ciò che appare, per un solo irripetibile istante.
Raffaella Rita Ferrari